I plin sono lontani cugini degli agnolotti e incarnano perfettamente l’emblema del piccolo formato di derivazione francese tanto caro ai piemontesi. Si tratta di una sfoglia all’uovo ripiena riconoscibile anche per via del “pizzico” con il quale viene chiusa la pasta, caratteristica che ne spiega il nome e che ha fatto la fortuna di questa piccola leccornia.
La storia dei ravoli del plin:
La prima attestazione cartacea che richiama i ravioli plin è del 1846 ed è una ricetta dello chef piemontese Francesco Chapusot. Il cuoco riporta a sua insaputa la prova dell’esistenza dei plin, testimoniata come tradizione anche da altri riferimenti del periodo. A tutti è nota la somiglianza con l’agnolotto e il raviolo ma il nome cambia a seconda della forma, non tanto del ripieno.
La prima testimonianza storica sull’agnolotto, o meglio, sul raviolo del plin, è del 1182 in Liguria. Inoltre, i ravioli appaiono anche nel Decameron di Boccaccio, anche se ci sono dubbi che intendesse in realtà gli gnocchi. Infine, alcuni studiosi riportano i ravioli addirittura agli antichi Romani, ulteriore motivo per il quale è logico pensare a quanto sia antica questa tradizione culinaria che nei secoli ha subìto modifiche ed evoluzioni, fino a giungere al plin. Un’altra caratteristica che ne spiega l’origine è il ripieno a carni miste: probabilmente preparare i ravioli era un modo di impiegare gli avanzi nella cultura popolare.
La produzione dei plin:
Dalle gastronomie ai pastifici professionali, dai ristoranti alla casa della nonna, i plin sono immancabili sulle tavole piemontesi. Sono prodotti a livello industriale e artigianale, semplicemente seguendo la storica ricetta: uova intere e tuorli, olio extravergine di oliva e farina per la sfoglia e un misto di carni e verdure per il ripieno. In particolare, si utilizza un buon mix di arrosto di sottopaletta di vitello e di coscia di maiale, a cui si aggiungono uova intere, parmigiano, spinaci, sale, pepe e noce moscata.
Per realizzare i plin come da tradizione basterà attrezzarsi con una macchina per la pasta e un tritacarne. Per ottenere il massimo risultato, è consigliato preparare prima il ripieno e poi procedere all’impasto della sfoglia, in modo da mantenere la freschezza e quel sapore genuino della buona cucina di un tempo. Il classico pizzicotto che sigilla la sfoglia attorno al ripieno non dovrà mancare. È il segno distintivo di questa piccola gemma gastronomica.
Territorio:
Non c’è casa, trattoria o ristorante piemontese in cui non si propongano i plin a menù almeno una volta l’anno. Se nel menu tradizionale sono spesso favoriti gli agnolotti, durante le festività o nelle occasioni speciali i plin non mancano mai. Più sofisticati e ampiamente apprezzati, ne esistono diverse varietà locali o stagionali.
Varietà che differiscono principalmente per il ripieno, più che per la sfoglia, che resta sempre sottile e pizzicata.
Per esempio nelle Langhe si aggiunge al vitello e al maiale anche la carne di coniglio, molto usata nella cucina tradizionale piemontese, e nei mesi invernali non mancano nemmeno scarola o cavolo verza, protagonisti anche di altri piatti della tradizione. Essendo un prodotto della tradizione contadina nato per utilizzare al meglio gli avanzi della carne, la ricetta per il ripieno non è comunque unica e accredita ma anzi cambia a seconda della creatività e delle esigenze di ogni famiglia.
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